sabato 3 novembre 2012

SIGNORE, VOLO SU KABUL

Oggi il J129 mi porta a visitare i militari di Camp Kaia,
e la mia mente ritorna a quel 17 settembre 2009
quando le vite di Matteo, Antonio, Roberto,
Davide, Gian Domenico e Massimiliano
giungono improvvisamente nelle tue mani per l’eternità.
Non li hai voluti tu, Signore,
ma li hai accolti dopo quel brutale disegno di odio e violenza.

Signore, volo su Kabul
e sento ancora dentro me l’estremo e addolorato saluto dato a Matteo:
ho conosciuto il suo volto davanti al tuo altare,
l’immagine ferma di un giovane forte e sereno.
Abbracciati al pianto di mamma Greca e papà Augusto
tutti eravamo incapaci di dire qualcosa in più,
se non essere solo lì con loro
e accendere un lume di speranza.
Ho elevato a te una preghiera e la promessa
di perpetuarne in terra afghana
la memoria e il ricordo.

Ora, dopo due anni, scruto dal cielo di Kabul quel luogo.
Ai piedi delle maestose e nere montagne si distende l’umile città antica.
Nella terra di Abramo e della “Via della Seta”,
tra l’immensità di vicoli e case, di mercati e minareti,
vi è l’anima di una città che lotta per ritrovare libertà e pace.
Cerco da lontano la Great Massoud Road,
e intravedo chiara quella Rotonda.
Subito mi si stringe il cuore.
Il mio animo si volge alla memoria
di chi è solo vittima innocente in un’improvvisa condanna.

Signore, volo su Kabul e prego:
la sua anima e le anime di tutti i fedeli defunti,
per la misericordia di Dio,
riposino in pace. Amen.

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